Pubblicato lo studio sulla conoscenza della lingua inglese nel mondo, condotto da Education First, organizzazione che si occupa di formazione linguistica all’estero.
Lo studio è stato condotto su un milione e 700 mila persone, provenienti da 54 Paesi, che hanno svolto test di inglese tra il 2009 e il 2011. Tra i risultati ottenuti si sono ricavate le differenze di competenze nell’’uso della lingua per genere, età, provenienza geografica e settori professionali di riferimento.
Tra i vari aspetti che l’indagine evidenzia, ve ne sono alcuni di particolare interesse:
- La conoscenza dell’inglese è un fattore determinante per il benessere economico delle nazioni ed è direttamente proporzionale al reddito, al numero di esportazioni e all’innovazione.
- I giovani tra i 25 e i 35 anni lo parlano meglio rispetto agli altri gruppi anagrafici.
- Le donne conoscono l’inglese meglio rispetto agli uomini.
- I settori economici in cui si parla meglio l’inglese sono quelli che operano a livello internazionale.
- L’emigrazione in un Paese di lingua inglese non garantisce l’acquisizione della padronanza linguistica che dipende invece dal livello di istruzione di base e dalla scelta di seguire o meno dei corsi di lingua nei Paesi in cui ci si trasferisce.
- L’Italia risulta essere all’ultimo posto in classifica tra i Paesi dell’Eurozona in quanto a conoscenza dell’inglese. Si classifica infatti solo al 24° posto, subito dopo la Francia e addirittura 5 posti dopo la Spagna.
Ai primi posti si classificano invece la Svezia, poi la Danimarca e i Paesi Bassi. L’Italia presenta grosse differenze regionali: il Friuli Venezia Giulia risulta l’unica regione italiana con un accettabile livello di conoscenza dell’inglese, poi troviamo la Lombardia e il Lazio. All’ultimo posto la Calabria, la cui capacità linguistica è paragonabile a quella del Venezuela o della Siria. Insomma, bocciatura piena per l’Italia in inglese. Ci viene da chiedere. Come mai questi deludenti seppur prevedibili risultati e tanta differenza tra noi e i Paesi del Nord Europa?
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Articolo a cura di: Rita Borgia